Mantova. Gino Baglieri: “Omaggio alla vita”

Mantova. Gino Baglieri

Gino Baglieri, che espone alla Galleria Arianna Sartori di Mantova, ricorre alla forza potente e gentile dell’ironia per alleggerire la pittura realista che ammira e fa sua. Seguendola e tramutandola, nella sua adesione aperta, dichiara la fonte di ispirazione delle sue rappresentazioni, le quali sono ispirate in primis al suo conterraneo Renato Guttuso.

La sua propensione, tuttavia, non è anòdina o retorica e superficiale, ma rivela uno sforzo interpretativo che, cogliendo nel segno pittorico, diventa ironia.

Pertanto se ne può captare non tanto una esecuzione formale e passiva bensì un’ammirata riflessione che diventa sottile ironia in tutte le opere sia nei nudi, sia nei ritratti sia nei soggetti a tema sociale.

Il suo legame alla tradizione pittorica figurativa va poi oltre la formazione guttusiana rivelando una sua originale partecipazione di stile e di linguaggio vicino alla realtà eppure paradossale, in cui la relazione tra la realtà e riproduzione appare evidente dalla compenetrazione dei piani del quadro, in cui l’osservatore esterno del dipinto genera un movimento dato dalla sovrapposizione delle differenti immagini interne-esterne, prodotte dai soggetti stessi scelti.

Con uno stile tradizionale apparentemente semplice, Baglieri, nella relazione tra realtà della mimesi di grandi Maestri e sua rappresentazione stilistica,

crea un suo realismo dislocato tra

quelle immagini realistiche e la sua fantasia, volta alla comunicazione immediata del filo rosso dei suoi quadri, come in Invidiose delle Grazie al museo o in Nudo di donna.

Gino Baglieri vive e lavora a Vittoria (RG) dove ha lo studio. 
Ha partecipato a varie esposizioni in diverse città italiane riscuotendo consensi e riconoscimenti con relativi premi.

Sue opere sono presenti presso collezioni private e Musei tra cui il Museo di Faenza (RA) e il Museo di Arte Contemporanea di Senhur Do Bonfim Bahia (Argentina). 
È stato ideatore, promotore e organizzatore di quattro edizioni della Biennale d’Arte Siciliana e cinque edizioni di Vittoriane. 

Sue Monografie sono pubblicate dagli Editori Mazzotta e Mondadori.

Anna Maria Di Paolo

Galleria Arianna Sartori, Mantova, via Ippolito Nievo, 10. Gino Baglieri “Omaggio alla vita”.

Sabato 15 aprile alle ore 17.30 fino al 4 maggio 2023.

Da Lunedì a Sabato 10.00-12.30 e 15.30-19.30 chiuso Domenica e Festivi.

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Beppe Bonetti«Aspetti della Metarazionalità”. Palazzo Bertazzoli, Bagnolo Mella.

Grandi tele su le variazioni della Metarazionalità di Beppe Bonetti, che ripercorrono decenni di ricerca dell’Artista, avviata agli inizi degli anni Ottanta, costituiscono l’antologica mostra nelle meravigliose sale di Palazzo Bertazzoli a Bagnolo Mella. (Brescia).

Si va dalle “Variazioni su un errore di Parmenide” e Variazioni su Sette.

Nel primo ciclo, i segni annullano regole e confini di un tempo e si frantumati nella tela cosicché l’ideazione da definita si amplia in una visione disgregata senza più limiti.

Nel secondo ciclo, Bonetti mutua il concetto di sfera, di forma perfetta al suo sgretolamento in riprogrammate forme geometriche.


Le ” Variazioni sul 7″ formano l’ altro ciclo in cui l’Artista, con 7 segmenti uguali, disposti dapprima ordinatamente e poi in un lato anche in modo casuale, ottiene varie possibilità’ compositive.

Beppe Bonetti ha tenuto numerose mostre personali e collettive in Italia e nel mondo.

Con grandi sculture, inoltre, ha preso parte alla 54 Biennale d’Arte di Venezia.

Sue opere si trovano in varie collezioni pubbliche e private.

Anna Maria Di Paolo

Palazzo Bertazzoli, Bagnolo Mella. Beppe Bonetti«Aspetti della Metarazionalità”.

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L’Archivio Storico delle Arti Contemporanee della Biennale di Venezia. Fondo Lorenzo Capellini

La Biennale di Venezia /

L’Archivio Storico delle Arti Contemporanee acquisisce

il Fondo Lorenzo Capellini /

Il Fondo Lorenzo Capellini è stato acquisito dall’Archivio Storico delle Arti Contemporanee della Biennale di Venezia per conservare e valorizzare l’archivio del grande fotografo, che in sessant’anni di attività, già collaboratore per “Il Mondo” di Pannunzio, ha documentato il Novecento artistico e letterario e in particolare le Biennali dal 1974 al 1978.

Per l’occasione, la Biennale inaugura giovedì 30 marzo al Portego di Ca’ Giustinian la mostra B74-78. Lorenzo Capellini. Un racconto fotografico, e programma due giornate di studi per ripercorrere il quadriennio di attività artistiche della Biennale sotto la presidenza di Carlo Ripa di Meana, 1974-1978, il quale .

chiese all’amico Lorenzo Capellini di documentare gli anni della sua Biennale.

Il Presidente della Biennale Roberto Cicutto elogia la documentazione dell’Artista per avere arricchito così l’archivio “ costruendo un patrimonio unico di verità” in cui la storia di avvenimenti e di persone si fondono.

Lorenzo Capellini inizia l’attività di fotografo a Londra nel 1958, l’anno successivo diventa fotografo per “Il Mondo” di Mario Pannunzio. Dal 1974 è fotografo ufficiale della Biennale di Venezia. Si reca diverse volte in Africa con Alberto Moravia per alcuni reportage che appariranno sul “Corriere della Sera”. Ha realizzato oltre 250 mostre personali in tutto il mondo e partecipato, con le sue foto, a campagne di sensibilizzazione ambientale. Ha lavorato anche nella lirica, al Teatro alla Scala, al Teatro Comunale di Bologna e nei festival Rossini Opera e Ravenna. Ha pubblicato e curato oltre 80 libri.

Le due giornate di studi alla Biblioteca della Biennale saranno così articolate:

– giovedì 30 marzo (ore 15.30 – 17), saluti di Roberto Cicutto e Lorenzo Capellini, e interventi di: Bruno Pellegrino (giornalista e scrittore), Carlo Ripa di Meana e la nuova Biennale. Quattro anni di innovazioni, e di Debora Rossi (responsabile Archivio Storico della Biennale di Venezia), Dalla Modernità alla Biennale del XXI secolo.

– venerdì 31 marzo (ore 9.30 – 13.30), introduzione di Amerigo Restucci (architetto e professore ordinario di Storia dell’Architettura (IUAV) e interventi di: Gian Piero Brunetta (storico del cinema e professore emerito), Gli anni difficili di Giacomo Gambetti, Gianfranco Capitta (giornalista e critico di teatro), Biennali 74-78, quando la scena si animò, Léa-Catherine Szacka (architetto, saggista e storica dell’architettura), Gli anni della sperimentazione: Architettura in Mostra e dibattito, Lola Hinojosa (responsabile della Collezione di Arti Performative e Intermedia al Museo Reina Sofía di Madrid), Spagna 1976: Poetica della democrazia. Immagini e controimmagini della transizione, e di Elisa Guzzo Vaccarino (studiosa di danza), La danza in gloria, Venezia 1975, in dialogo conLuciana Savignano. Modera Debora Rossi.

Questa iniziativa rientra nella serie di appuntamenti periodici organizzati dall’Archivio Storico della Biennale di Venezia nell’ambito del Centro Internazionale della Ricerca sulle Arti Contemporanee, volti a restituire gli esiti delle ricerche, a informare delle nuove acquisizioni, a presentare libri e mostre d’archivio.

In precedenza, il 6 e il 13 marzo, sono state dedicate due giornate all’acquisizione del Fondo Luca Ronconi.

A. M. D. P.

Venezia. Lorenzo Capellini. Un racconto fotografico. giovedì 30 marzo, ore 12, al Portego di Ca’ Giustinian , San Marco, 1364/a, la

Convegno di studi, 30-31 marzo, sulle Biennali 1974-1978. Biblioteca ai Giardini (Calle Paludo S. Antonio).

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Milano. Palazzo Reale. Sala delle Cariatidi. Michelangelo Pistoletto. La Pace preventiva

Pistoletto da tempo con le sue opere parla di Pace preventiva, infatti, col Terzo Paradiso usò tale concetto indicando il metodo preventivo per la Pace onde evitare la guerra, auspicando quindi si faccia sempre il possibile non quando la guerra è già in atto, ma prima.

La nascita del concetto delle opere di “Pace Preventiva” e del “Terzo Paradiso” è avvenuta nel 2003 quando Bush, Blair e altri governi dichiararono guerra preventiva all’Iraq, dimostratosi poi un pretestuoso arbitrio. Nacque così in Pistoletto l’idea della contrapposizione di “Pace preventiva”. L’Artista nella sua “Formula della Vita o della Creazione“ nell’ambito della sua “ Città dell’Arte” Fondazione Pistoletto, centro multiculturale, istituito nel 1998 a Biella, con più di duecento aderenti, ha ideato, pertanto, una formula matematica che pone “l’arte al centro di una trasformazione responsabile della società”.

Ora, nel particolare ambiente della Sala delle Cariatidi di Palazzo Reale, nel pieno dei novanta anni di Pistoletto, classe 1933, Milano gli dedica questa straordinaria e simbolica mostra costituita da un’ unica installazione il cui allestimento è di per se’ già un’ opera d’arte come ha sottolineato il curatore Fortunato D’Amico.

All’interno del Labirinto, le opere, disseminate lungo il percorso, costituiscono infatti dei momenti di riflessione sull’Arte, su noi stessi e sulla nostra mentalità che dobbiamo cambiare per raggiungere un atteggiamento plausibile riguardo i tre modi essenziali di concepire la vita sul piano economico, sociale ed ambientale. Pertanto il concetto che l’Arte non sia soltanto estetica, ma anche etica, sempre ribadito da Pistoletto, enfatizza la Pace, condizione fondamentale per la vita dell’essere umano.

E se la difficoltà di tutti è l’incapacità a capire persino se stessi nell’intricata complessità’ del reale, come se fossimo nel labirinto di noi stessi, l’Artista qui ci indica la strada per uscirne maturando una nuova consapevolezza della realtà personale e universale che ci liberi dal groviglio delle difficoltà. In tal modo si risolverà la dualità tra il Male – come il Minotauro, orrenda creatura – e il Bene, la Virtù, fino alla Pace salvifica.

Lungo il dispiegarsi del labirinto Pistoletto ha dislocato varie sue opere iconiche quali: la Mela reintegrata 2007, i Quadri specchianti” del 1962 che sono alla base della sua ricerca per le successive riflessioni teoriche, tecniche e formali , gli “Oggetti in meno” del 1965 e “La Venere degli stracci” del 1967-22, Venere simbolo di eterna bellezza e gli stracci, immagine di scarto dello sfrenato consumismo e del riciclo. E poi, tra altre, Mappamondo -‘66-‘22-, il Terzo Paradiso-Ragno tessitore 2003-14, Pozzo 1966-‘23.

È soltanto con tale lavacro dai pregiudizi e dal male che si arriverà alla salvezza e al cambiamento dell’umanità.

Al di sopra di questo progetto straordinario dell’installazione del Labirinto, Pistoletto ha fissato la “Formula della Creazione” espressione matematica, sintesi di ricerche individuali e collettive, condotte nella Citta’ dell’ Arte a Biella, insieme agli Ambasciatori del “Terzo Paradiso”, collaboratori per il simbolo e per la risposta a sconfiggere il mostro e far prevalere La Pace Preventiva. Trasposta in numeri, tale formula rivela che “1+1= 3, permutabile con Io+Tu= Noi, dove Tu ed Io, anzi tutti Noi, siamo responsabili della società che creiamo” all’interazione arte e società.

La pace preventiva e’ nata dunque come una manifestazione collettiva di responsabilità sociale legata alla sostenibilità ambientale. Qui il “simbolo matematico infinito di tre cerchi che si incrociano nel presente sta a significare il prima che non c’era, il dopo che non c’è più, quindi alla forma di un simbolo assoluto”. I due cerchi, insomma, si combinano al centro col terzo cerchio in una “O” a significare che tutto può esistere o meno in un simbolo di spazio-tempo che si ripropone di continuo, in una relatività generale che forma la Creazione. È una possibilità insomma di capire come funziona l’Universo, dice Pistoletto, a cui dobbiamo adeguarci per sopravvivere in pace.

La conclusione dominante su tutta l’installazione infine è rappresenta dalla Colomba, simbolo di Pace, che aleggia su il labirinto per farci giungere alla consapevolezza della costruzione della Pace, come atto di volontà e consapevolezza collettiva. La Colomba della Pace è chiaro riferimento a Picasso che proprio nella Sala delle Cariatidi, diroccata dalla guerra, espose Guernica nel 1953, disegnando poi nel 1961 la Colomba della Pace, da allora rimasta il suo simbolo.

La manifestazione, promossa e prodotta dal Comune di Milano Cultura, Palazzo Reale, Cittadellarte – Fondazione Pistoletto in collaborazione con Skira, è parte del progetto Milano Art Week (11-16 aprile 2023) diffusa, coordinata dall’Assessorato alla Cultura del Comune di Milano, in collaborazione con Miart che promuove l’arte moderna e contemporanea, con mostre e varie altre attività.

Michelangelo Pistoletto è l’artista italiano più presente nei Musei del Mondo; ha ricevuto numerosi riconoscimenti e premi; infatti, a accanto al Leone d’Oro alla Carriera, si ricordano: Wolf Foundation Prize in Arts, Gerusalemme, 2007; Praemium Imperiale per la pittura ricevuto a Tokyo nel 2013; nello stesso anno il Museo del Louvre di Parigi gli dedica la mostra personale Michelangelo Pistoletto, année un – le paradis sur terre. Significativa anche Rebirth, come simbolo della rinascita, al parco del Palazzo delle Nazioni di Ginevra, sede dell’Organizzazione delle Nazioni Unite.

Altre tre installazioni di Pistoletto, nel contempo, al di fuori di Palazzo Reale, sono visibili negli spazi dei Musei scientifici del Comune di Milano, Museo di Storia Naturale, Planetario e Acquario Civico.

Anna Maria Di Paolo

Michelangelo Pistoletto “La Pace Preventiva” Palazzo Reale, Sala delle Cariatidi. Piazza del Duomo, 12- Milano. Fino al 4 giugno 2023

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VENEZIA. VITTORE CARPACCIO. Dipinti e disegni – Palazzo Ducale

VENEZIA. VITTORE CARPACCIO. Dipinti e disegni – Palazzo Ducale

San Giorgio e il drago Carpaccio, firmata e datata 1516, Abbazia di San Giorgio Maggiore. Sala del conclave.

A Vittore Carpaccio, a lungo misconosciuto dal grande pubblico, è ora dedicata una rilevante mostra dalla sua Venezia.

Dopo un periodo di successo, fu oscurato infatti prima dalla fama di Bellini e di Mantegna – suoi maestri – oltre che da quella di Antonello da Messina, di Piero della Francesca, di Giorgione, Tiziano e di Tintoretto, e poi, come altri grandi artisti coevi quali Perugino e Signorelli, subì anche la crisi determinata dall’affermarsi di nuovi “grandi” geni innovatori e inarrestabili come Leonardo, Michelangelo e Raffaello.

Tuttavia Carpaccio nella sua Venezia si era ritagliato una dimensione singolare con un tipo di pittura che era testimonianza della vita, dei costumi e dei particolari aspetti della Venezia contemporanea.

Infatti, sia nei dipinti sia nei disegni descrisse una visione unica della Venezia del suo tempo che era si realistica, ma anche visionaria e quasi surrealista, di fatto perfetta. E non poteva essere altrimenti, visto che la sua cultura spaziava tra est ed ovest,  tra nord e sud nei progetti e nelle realizzazioni pittoriche tra l’eccezionalità della natura urbana di Venezia e il suo rapporto con il mare con i prosperi commerci e domini orientali fini a Costantinopoli.

La grande esposizione comprende 70 opere, di cui 42 dipinti e 28 disegni, sei dei quali sono recto/verso, che si muovono, come d’incanto, lungo la ricerca pittorica dell’Artista. Coi disegni inoltre Carpaccio dimostra il valore dello studio dei dettagli, della natura e della prospettiva.

Nascita della Vergine, ca. 1502/1503 – olio su tela – Bergamo, Accademia Carrara

I dipinti sono di tema religioso, profano o di genere ed evidenziano le sue grandi doti narrative, immaginative e descrittive e una tecnica pittorica incisiva in cui è evidente una nuova concezione dello spazio scandito, oltre che da architetture e linee prospettiche, anche da arredi, oggetti e animali.

Provenienti da Musei e collezioni internazionali, tra cui Francia e Stati Uniti , oltre che da chiese della Serenissima, dalla Lombardia, dall’Istria e dalla Dalmazia, le opere ripercorrono la parabola ascendente della ricerca pittorica di Carpaccio, e tra esse diventa un’attrazione e un evento eccezionale l’opera “Due Dame” del Museo veneziano Correr che va a ricongiungersi alla “Caccia in laguna”, ora al Getty Museum di Malibu, fino al ‘700 un manufatto unico. Si ri-costituisce così, dopo il maldestro smembramento dell’opera, che forse era un’anta di porta, un unicum in cui il giglio troncato dal taglio della tela, lasciandolo fuori scala, va a ricollocarsi nel vaso sulla balaustra del pannello del Correr. Quest’opera grande ammirazione suscitó nello storico inglese John Ruskin che alla fine del secolo XIX la descrisse come un’ ”annoiata attesa di due nobildonne veneziane del ritorno dei mariti dalla caccia in laguna con archi e ‘ballotte’.

Come era prima del taglio
Caccia in valle – particolare – ca. 1492/94 – olio su tavola – Los Angeles, J. Paul Getty Museum

Due dame, ca. 1492/94 – olio su tavola – particolare. Venezia Musei Civici Veneziani, Museo Correr

La riunione delle due parti è stata occasione inoltre per un progetto di ricerca scientifica condotta dall’Istituto Italiano di Tecnologia, alla luce dell’innovazione per la pratica di conservazione e valorizzazione delle opere museali.

L’esposizione veneziana insomma conferma tutta la genialità di Carpaccio impareggiabile narratore che palesa la sua poetica di visione unitaria, completa nella definizione prospettica di origine umanistica, di un mondo in cui agisce la commistione ineguagliabile tra sacro e mondano, tra naturale e culturale che si espletano in spazi sublimi, soprattutto nei grandi teleri dei cicli pittorici delle “Scuole” , inamovibili e da visitare in loco.

Le sue trame ripetono il vissuto trasfigurato in racconti che si rifanno a spazi magici pieni di simboli: animali, piante, architetture ed edifici che popolano il fondale e il paesaggio, e che talora si arricchiscono di un orientalissimo fantastico suscitato da ricordi cifrati della cultura bizantina che si tramutano in scene poetiche di grande spiritualità.


La Mostra promossa dalla Fondazione Musei Civici di Venezia in collaborazione con la National Gallery of Art di Washington è a cura di Peter Humfrey, Massimo studioso dell’Artista, con Andrea Bellieni e Gretchen Hirschauer.

Si deve comunque rimarcare quanto grande e importante impegno Carpaccio abbia profuso nella visione e nella poesia dei cicli narrativi realizzati per le Confraternite religiose e laiche delle “Scuole” veneziane luoghi per gli incontri di comunità, molto diffuse all’epoca in città. Nei cicli di questi teleri, Carpaccio unisce l’attenta osservazione della scena urbana con la sua particolare attenzione per l’aspetto poetico e fantastico.

L’artista ci presenta infatti la vita quotidiana nella Serenissima, un’eccezionale scena urbana che infarcisce con narrazioni fantastiche su sfondi di architetture orientaleggianti, che tuttavia rendono evidente il rapporto con Venezia e il suo mare.

Nel ciclo di teleri nella Scuola dalmata di S. Giorgio degli Schiavoni e nel ciclo di S. Orsola, allocato presso il Museo dell’Accademia, gli scenari fantastici sono pieni di particolari reali legati alla Venezia del Cinquecento. L’invito a dipingere questi cicli fu accettato da Carpaccio poiché Venezia ebbe rapporti commerciali stretti con la Dalmazia che si intensificarono quando essa passò sotto il dominio di Venezia nel 1400 e molti dalmati si traferirono nella città lagunare.

Per il modo in cui tratta anche altri temi, come anche ad esempio quelli nel Ciclo di S. Orsola, Carpaccio dipinge Venezia come sogno, ma la Città vera e’ altrettanto reale nella sua dimensione di concentrazione di rare e rarefatte bellezze.

Ca’ d’Oro. Collezione Franchetti. Visitazione, 1504-08, dalla scuola di Santa Maria degli Albanesi

La mostra, in conclusione, è l’occasione per il pubblico di valutare come merita un grande Artista, un po’ dimenticato, del Rinascimento veneziano, il quale, come si è detto, ha dipinto con realtà e poesia, con levita’, ironia e profondità l’essenza della grandezza della Repubblica Serenissima mescolando le meraviglie dell’ arte orientale con un mondo che a Venezia non esiste, perché è un sogno, è il sogno di Venezia, ma al contempo è Venezia nella realtà con le sue gondole, i ponti, le calli, i suoi scenari.


Anna Maria Di Paolo

Palazzo Ducale, Appartamento del Doge

San Marco 1, Venezia

palazzoducale.visitmuve.it

Fino al 18 giugno 2023

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MILANO. FRANCESCO SOMAINI. LA PITTURA (1950-1965)

LA PITTURA (1950-1965)

IMMAGINARE SCULTURA 2.

MILANO. FRANCESCO SOMAINI

Alla Fondazione Francesco Somaini l’ instancacabile Luisa Somaini, figlia del grande Artista, con passione, ha presentato la mostra di 70 opere di Francesco, realizzate tra gli anni Cinquanta e Sessanta, ripercorrendo le diverse fasi creative e le tecniche utilizzate nei dipinti e nei graffiti su tavola, nonché le opere pittoriche su tela e su lamiera a fuoco, i disegni a matita, a carboncino, a inchiostro e le relative sculture in gesso, piombo, peltro, rame, ferro e bronzo. Si tratta dunque di un approfondimento del lavoro di Somaini, classe 1926, avviato con metodo sistematico dell’opera dell’Artista, dopo il successo della recenti mostre al Museo del Novecento, Palazzo Reale di Milano e all’apertura della Fondazione stessa e focalizzato nella pubblicazione del “Catalogo ragionato della scultura” a cura di Enrico Crispolti e Luisa Somaini, edito da Skira, Milano 2021.

Ora questa esposizione dedicata alla pittura e ai graffiti su tavola, realizzati dal 1957, evidenzia l’adesione di Somaini alle avanguardie d’Oltralpe, al MAC-Espace e all’Informale.

Sono questi infatti gli anni in cui l’ importante stagione informale delle sue opere vede la fusione delle stesse con materiali quali il ferro, piombo e peltro che rifinisce con la fiamma ossidrica e ripulisce lucidandole nelle parti concave per una più incisiva espressività.

Illuminante quindi questi veri e propri studi in mostra poiche’ vengono sviluppati poi nelle sculture della stessa stagione informale, durante la quale Somaini raggiunse notorietà internazionale con la partecipazione alla Biennale di Venezia del 1956 con grandi opere astratte e per la “sintesi delle arti”. Dopo queste esperienze, Somaini approfondi’ infatti il rapporto tra arte, architettura e contesto urbano con grandi opere prima per New York e poi con sculture successive monumentali per Atlanta e Baltimora.

Sta di fatto, comunque, che forte fu il serrato rapporto tra pittura e scultura che evidenzia il nesso dell’ideazione e della messa in opera con risultati coinvolgenti, supportati talora anche da una “rilettura a colori” alternativa con l’altra sua passione della ripresa fotografica.

I dipinti e le sculture, che provengono dall’archivio dell’artista, da collezioni private e pubbliche, ricostruiscono pertanto l’essenza di sue mostre fondamentali d’epoca come ad esempio, tra altre, quella curata da Ragghianti: Sessanta maestri del prossimo trentennio a Prato nel 1955.


La mostra, in sintesi, riprendendo il filo dell’indagine avviata da Enrico Crispolti dal 2015 nell’ambito dell’attività grafica in rapporto alla scultura, e’ confluita nella schedatura sistematica dell’opera pittorica, grafica, calcografica e fotografica dell’artista condotta da Luisa Somaini e Chiara Rampoldi e in questa mostra. Ricostruzione lunga e complessa pertanto che era era già iniziata nella prima retrospettiva postuma a lui dedicata dalla Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma nel 2007: Francesco Somaini. Il periodo informale 1957-1964.

In sintesi, questa espressiva esposizione di bozzetti preparatori alle sculture esposte mette a fuoco la caratterizzazione di gran parte dell’ attività creativa di Somaini che aveva avuto una solida preparazione Somaini all’Accademia di Brera.

Durante la proficua attività, tanti furono i riconoscimenti che ebbe Francesco Somaini, tra cui: nel 1959 il premio come miglior scultore straniero alla Biennale di San Paolo del Brasile; l’anno seguente l’ invito con una sala personale alla Biennale di Venezia; nel 1961 il primo premio della critica alla Biennale di Parigi. Numerose sono state inoltre le personali in Italia, negli Stati Uniti e in Giappone. Dalla metà degli anni Ottanta esegue lavori anche in Italia, incentrati sulla dialettica del positivo/negativo da cui deriva sculture esposte anche nella retrospettiva al Palazzo di Brera a Milano nel 1997.

Muore a Como nel 2005.

La mostra, curata da Luisa Somaini e Chiara Rampoldi, è accompagnata da un catalogo edito da Silvana Editoriale con saggi di Emanuele Greco e Duccio Nobili, accompagnati da un’antologia di testi di poetica dell’artista.

Anna Maria Di Paolo

Fondazione Francesco Somaini – Milano.

Corso di Porta Vigentina, 31 – Ingresso da via Cassolo, di fronte al civico n. 3

Fino al 30 settembre 2023

Orari di apertura
giovedì, venerdì, sabato dalle 10.00 alle 17.00

Ingresso gratuito.

Per altri contatti: fondazione.somaini@gmail.com

Ufficio Stampa: Artemide PR
stefania.bertelli@artemidepr.it

www.artemidepr.it

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BRESCIA. RICORDANZA, mostra di Paola Sabatti Bassini e Nataša Ružica Korošec Frntić.

“RICORDANZA”

Paola Sabatti Bassini, da decenni che la conosco, e’ sempre piena di idee artistiche che tramuta in progetti originali, non solo, ma poiché non è un’individualista, ne condivide la realizzazione fin dall’inizio con altri colleghi o gruppi a cominciare ad esempio con l’Aura di Brescia, dal 1987 fino al ’94.

E così ha continuato altre esperienze tra cui il decennale lavoro con l’artista Piero Almeoni con cui ha ideato installazioni e performance legate ai rapporti tra le cose per sottolineare il concetto di relazione nell’esistenza.

Passo dopo passo, insomma, è arrivata oggi, con la mostra “Ricordanza”, alla collaborazione con Nataa Ruica Koroec Frntićartista croata, tra l’altro sua ex allieva all’Accademia.

Anche ora, partendo da una “matrice comune” le due artiste hanno elaborato un progetto come spazio della memoria in cui il fare diventa il fulcro del riconoscersi prendendosi reciprocamente cura nella collaborazione al ricordo della propria infanzia.

E se il lavoro comune, la performance “Ricordanza”, le unisce col lavoro della catenella ad uncinetto, metafora di catena di “ricordi, racconti, emozioni vissute e condivise”, i lavori individuali sono una riflessione autonoma, nella quale ognuna esprime la propria esperienza e riflessione.

Così Nataša Ruica Koroec Frntićartista si focalizza su due precipue esperienze, una vissuta con la madre che la indirizzo’ a dipingere i fiori e l’altra, sempre ecologica legata all’esperienza traumatica del primo covid che le ha tolto la facoltà olfattiva. E quindi ha iniziato da un lato a dipingere a memoria fiori e piante raccolte ed essiccate in un incisivo nero su bianco e dall’altro ha elaborato tele con campiture materiche aniconiche di quelle stesse piante e fiori essiccati e triturati. Li ha pertanto apposti alla tela perché dessero colorazione informale naturale e profumo che lei non sente ancora!

Passato e presente pertanto si incontrano infine nelle accoglienti salette della scuola di Teatro di Via Pace dove le opere sono esposte.

Paola Sabatti Bassini ha invece realizzato lavori su carta nel ciclo “Fiori dopo Hiroshima”, sulla mostruosa conclusione atomica americana della guerra rifacendosi al testo di Christa Wolf “Kassadra” (1983) la veggente troiana, figlia di Priamo ed Ecuba, che vaticinò i disastri della guerra e la caduta della città di Troia senza esser creduta da nessuno.

In questa sezione, Paola segue la tragedia con disegni espressivi adeguati al mito della Grecia classica che accompagnano la trascrizione dell’orrore della guerra della Kassandra volfiana.

Tra altro, una diversa sua ricerca si incentra su brevi versi di Blaga Dimitrova, poetessa bulgara, peraltro vicepresidente della Bulgaria nel 1992, seguendo la semplice fluidità dei versi, simili ad haiku, con disegni emozionali sulla percezione dell’ esistenza.

Sono in sintesi le proposte di Paola Sabatti Bassini e di Nataa Ruica l’interpretazione nel tempo e nello spazio del concetto di memoria e di armonia tra gli esseri e in quello tra individuo e natura, ma anche il suo opposto che genera violenza e devastazione quando si perde il senso del valore della vita e della memoria storica.

Anna Maria Di Paolo

Breve biografia Paola Sabatti Bassini

Nata nel 1959, vive a Brescia. Ha frequentato il Liceo Artistico, è l’ Accademia di Belle Arti di Brera a Milano.

La sua ricerca artistica è vissuta come moto esistenziale e processo cognitivo nella percezione che arte e vita, mescolando i loro confini, si confrontano con le questioni culturali ed etiche del tempo.

Paola Sabatti, attraverso vari linguaggi artistici come la classica fotografia o rielaborata al computer, i video, le istallazioni, il ricamo, ha interpretato il reale da molteplici prospettive coinvolgendo spesso l’osservatore per una reciproca condivisione.

Ha partecipa a numerose mostre nazionali ed internazionali, a dibattiti e convegni sull’arte contemporanea, accompagnando la pratica artistica con la riflessione teorica. Per la complessità si rimanda a http://www.sabattibassini.it/pdf/curriculum_paola_sabatti_bassini.pdf

Breve biografia Nataša Ružica Korošec Frntić

Nata in Croazia nel 1974, Nataša vive e lavora a Brescia, dove dopo il Diploma in Arti Visive e Discipline dello Spettacolo presso l’Accademia di Belle Arti di Brescia Santa Giulia consegue il Master in Marketing per le imprese di arte e spettacolo presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Brescia.

Brescia. Spazio H-Vox,Via della Pace, 15. Apertura mostra, fine settimana: 3, 4, 10, 11, 17, 18 dicembre 2022, dalle 16 alle 19.

Finissage 6 e 7 gennaio 2023, dalle 16 alle 19.

Per le visite in altri giorni chiamare: 347 043 3942

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Milano. Andy Warhol, “La pubblicità della forma” alla Fabbrica del Vapore

Milano. Andy Warhol, La pubblicità della forma l’arte della ripetizione alla Fabbrica del Vapore

Trecento opere di Andy Warhol dagli anni Cinquanta agli anni Ottanta, divise a tema, sono visibili nell’ articolata mostra “La pubblicità della forma” curata con la solita sapienza da Achille Bonito Oliva con Edoardo Falcioni per Art Motors, alla Fabbrica del Vapore a Milano.

Dopo 10 anni, Andy Warhol torna a Milano con opere di fotografia manipolata, pubblicità, moda, musica e imprenditoria che esplicitano la sua grande intuizione: quella di ripetere una immagine alterandola con colori vivaci e forti; operazione che infatti lo ha reso famoso nel mondo.

L’uso di immagini pubblicitarie delle zuppe Campbell o della Coca-Cola e immagini ripetute di incidenti stradali, che reiterate in eccesso alla fine si svuotano di significato, diceva infatti Warhol “Più guardi la stessa identica cosa, più il significato scompare” divenne l’ intenzionale sua provocazione. Fonte di ispirazione era si la strada e il supermercato con l’intento tuttavia di arrivare nelle gallerie e nei musei. Warhol volle, insomma, assolvere al “compito dell’artista che non è più creare, ma riprodurre” e lui lo fece mediante l’uso della rapida serigrafia poiché diceva che “La pop art è amare le cose” in modo ripetitivo come una macchina.

In mostra sono esposti anche disegni e serigrafie realizzati all’inizio degli anni Cinquanta periodo nel quale Warhol collaborava con riviste come Vogue, Glamour e New Yorker, e in cui realizzò opere come Thirty are better than one, la sua prima Monna Lisa ripetuta trenta volte e Green Coca-Cola bottles.

Seguono le sperimentazioni pittoriche dell’inizio degli anni Sessanta: le prime tele storiche fino alle opere divenute icone pop, come le Campbell’s Soup, i Flowers e i volti noti del cinema e dello spettacolo quali Marilyn Monroe, Liz Taylor e i ritratti di Che Guevara, James Dean, Mao, Michael Jackson, Armani, Valentino, ecc. E poi le opere degli anni ’70 e ’80 coi diversi ritratti celebri affiancati inoltre da opere sugli emarginati come la serie Ladies & Gentlemen sulla comunità drag di New York, nonché altre attinenti all’arte sacra.

Warhol di fatto si inserì con la Pop Art nell’ ottimismo dell’epoca kennediana, subentrando al precedente atteggiamento di tormento dell’Action Painting di Pollock o di Rauschenberg, di Rothko o di Newman, di De Kooning o di Kline.

L’Artista si distinse altresì per aver esasperato il ready made, l’oggetto unico di Duchamp che con lui divenne un multiplo seriale dell’immagine di consumo.

E se all’inizio non fu capito, in seguito, con la produzione di opere della Factory, diffuse la sua produzione, riuscì a farsi conoscere e ad esporre le Brillo Box, frutto della sua concezione sulla filosofia dell’arte, alla Stable Gallery di New York nel 1964.

La Factory, studio con numerosi artisti e assistenti di cui Warhol aveva bisogno per la produzione su larga scala di serigrafie, a volte in dimensioni eccezionalmente grandi, era anche un luogo sociale, di ritrovo, una specie di club house.

È con tale sostegno della Factory che nel 1964 Warhol creò Flowers, opere che venivano prodotte al ritmo di 80 stampe al giorno per una produzione totale di 900 stampe in una varietà di formati.

La contraddizione comunque era forte perché Warhol, notoriamente asociale con La Factory aveva creato uno spazio collettivo in cui le persone interessanti di New York potevano incontrarsi e cooperare anche con la musica, come nel caso della band dei Velvet Underground per i quali Warhol creò opere per le loro esibizioni, tra cui Exploding Plastic Inevitable.

Sempre nel 1964 Warhol riuscì finalmente ad esporre alla Stable Gallery di New York le Brillo Box, frutto della sua concezione sulla filosofia dell’arte. Il successo fu tale che tali opere convinsero anche lo scettico Leo Castelli che lo assunse nella sua scuderia cambiando totalmente la carriera di Warhol.

E in seguito, quando Andy Warhol ebbe un calo di attenzione, cercò di rinnovarsi attingendo alla creatività e all’ energia di artisti della nuova generazione di cui si circondò: Basquiat, Haring, Scharf che da disadattati delle sottoculture underground di New York furono da lui trasformati in “superstar”.

E lui comunque così si rinnovò creando il Dollar Sign, divenuto il celebre emblema della rapace economia del tempo, oltre che tornò alla pittura pura rivolgendo le sue attenzioni creative anche alla storia dell’arte come L’Annunciazione 1473 di Leonardo Da Vinci o L’ultima Cena, proprio a Milano.

La mostra, in conclusione, attraverso questa vasta gamma di generi, documenta l’epoca dell’America negli anni Sessanta mostrando con un velo di ironia i difetti, gli eccessi e la superficialità della società di quegli anni.

Andy Warhol, ( 1928-1987) sebbene sia morto prematuramente a 57 anni, ha cambiato per sempre la storia dell’arte, rimanendo un artista attuale e amato dal pubblico di tutto il mondo.

Anna Maria Di Paolo

Milano. Andy Warhol alla Fabbrica del Vapore, via Giulio Cesare Procaccini 4, fino al 26 marzo 2023; Dal Lunedì al Venerdì: dalle ore 9.30 alle ore 19.30

Sabato, domenica e festivi: dalle ore 9.30 alle 20.30

Ufficio stampa : Lucia Crespi

fabbricadelvapore.org

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MILANO. LE TRE PIETÀ DI MICHELANGELO.TRE CALCHI STORICI PER LA SALA DELLE CARIATIDI

credito fotografico di Mauro Ranzani

Una mostra impossibile con le tre Pietà di Michelangelo ora è realizzata nella Sala delle Cariatidi a Palazzo Reale di Milano.

Si tratta ovviamente dell’esposizione dei Tre calchi storici otto-novecenteschi: quello della Pietà di San Pietro della Città del Vaticano, realizzato da Ulderico Grispigni nel 1975 dopo il tragico atto vandalico del 1972, e del calco della Pietà Bandini di Santa Maria del Fiore a Firenze, autore Oronzo Lelli nel 1882.

Il terzo è il calco della Pietà Rondanini, commissionato nel 1953 a Cesare Gariboldi e conservato nei depositi del Museo d’Arte Antica, mentre la scultura autentica è allocata dal 1952 nel Castello Sforzesco di Milano.

La mostra, insomma, nell’impossibilità di riunire gli autentici capolavori di Michelangelo, permette di focalizzare in contemporanea le tre Pietà, salvo recarsi poi al Castello Sforzesco per vedere l’originale a cui il genio in michelangiolesco, lavorò fino a poco prima di morire a 89 anni.

Nata in collaborazione tra Comune di Milano, Comune di Firenze e Musei Vaticani, dopo il successo dell’esposizione al Museo dell’Opera del Duomo di Firenze, la mostra offre un’indicibile emozione in un solo sguardo.

Foto Mauro Ranzani

Con la Pietà Vaticana, realizzata a vent’anni, dunque, la Pietà Bandini a Firenze scolpita nella tarda maturità dei settant’anni e la Pietà Rondanini a Milano, iniziata dopo gli ottant’anni, l’esposizione offre una veduta d’assieme straordinaria dell’exursus artistico di Michelangelo ( 1475– 1564).

Sono eccelsi esempi scultorei che raccontano la sensibilità della sua lunga vita geniale approfondita in oltre sessant’anni: dall’impronta classicista del grandioso lavoro giovanile fino alla fusione folgorante dei corpi di Maria e di Cristo “nel sublime non finito» degli ultimi suoi giorni.  

Un episodio singolare spiega come il Maestro abbia apportato alla La Pietà vaticana del 1498 l’unica firma di tutte le sue opere; la scultura infatti subito ammirata e lodata per la bellezza maestosa e perfetta, venne altresì attribuita da taluni allo scultore lombardo Cristoforo Solari, talche’ l’allora sconosciuto Michelangelo decise di autografarla, in un secondo momento. Ed è così che rimane l’unica sua opera siglata, giacché in seguito il suo stile fu riconoscibile e inconfondibile.

Degno di nota anche che la strabiliante opera romana che gli fu commissionata da Jean de Bilhères, cardinale francese, ambasciatore di Carlo VIII presso Papa Alessandro VI, dal che si pensa fosse destinata al suo monumento funebre nella Basilica dove fu sepolto, ma così non avvenne ma per fortuna l’opera è rimasta tuttavia in S. Pietro.

Altro curioso particolare riguarda l’ unico prestito della Pietà all’Esposizione universale di New York del 1964 per essere installata nel padiglione della Città del Vaticano. Data la delicatezza e fragilità dell’opera, fu un azzardo e oggi, neanche ad un bambino verrebbe in mente un trasbordo analogo, per fortuna!

Foto Mauro Ranzani

A lato dell’installazione di questa mirabile opera giovanile, c’è la Pietà Bandini 1547- 1555, frutto di una meditabonda riflessione sulla condizione umana di sofferenza e di precarietà di Michelangelo settantenne, che approda quindi ad uno stile meno solenne e sfarzoso. La composizione a forma di piramide si incentra sul corpo di Cristo esanime. Si dice che l’opera, non essendo di sua soddisfazione, indusse Michelangelo a romperla a martellate in più punti in quanto il marmo, pieno di impurità e troppo duro, non gli consentiva il desiderato completamento. Michelangelo, a detta del Vasari che gli fece visita durante l’impresa di questo capolavoro, era in piena crisi depressiva; di fatto il Buonarroti era molto cambiato come uomo e come artista per le profonde e gravi riflessioni sulla vita e sulla morte che gli procurarono un triste stato d’animo di voler addirittura abbandonare la scultura.

E in fondo alla sala emerge la Pieta’ Rondanini, l’ultima a cui Michelangelo lavorò fino a poco prima di morire, non conclusa e comunque di grande fascino per quel corpo di Cristo esanime totalmente addossato a quello della Madre: commovente grumo di dolore.

In sintesi, l’interesse della mostra, risiede oltre che nella possibilità di avvicinarsi ai dettagli delle opere diversamente dagli originali – basti pensare alla sola visione frontale in S. Pietro per l’indispensabile vetro di protezione – alla considerazione che Michelangelo mostra per primo lo stesso dramma della morte di Cristo modificato nel corso del tempo, mediante forme stilistiche ed espressive complesse adeguate a più profonde riflessioni e ispirazioni.

La mostra – promossa e prodotta dal Comune di Milano-Cultura e organizzata da Palazzo Reale con la collaborazione del Castello Sforzesco – è a cura di Giovanna Mori, Domenico Piraina e Claudio Salsi col suggestivo allestimento di Massimo Chimenti con installazioni multimediali per le elaborazioni digitali di Giacomo Tenti. L’esposizione che si prevede irripetibile offre un indicibile coinvolgimento emotivo per la visione d’assieme e per i dettagli dei pannelli esplicativi arricchiti da immagini e infografica a cura dell’arch. Valter Palmieri che ha fuso elementi reali e virtuali.

La suggestiva ed essenziale Sala delle Cariatidi, in cui volutamente sono stati lasciati i segni del bombardamento del 1943, fa da scenografia ai tre calchi delle Pietà che per sfondo hanno grandi “sudari” disposti in larghezza e in profondità che meglio amplificano l’emozione della visita tra suggestioni scenografiche quasi teatrali, dettagli d’autore e fotogrammi della recente storia espositiva. Non trascurabile la musica di ispirazione mistica che scandisce il tempo con il quale le tre opere emergono dall’ombra.

 È un evento pertanto inedito, irripetibile e per di più gratuito da non mancare!

Il catalogo è edito da Silvana Editoriale.

Anna Maria Di Paolo

LE TRE PIETÀ DI MICHELANGELO. TRE CALCHI STORICI PER LA SALA DELLE CARIATIDI

Milano, Palazzo Reale. Sala delle Cariatidi

Fino all’ 8 gennaio 2023

INGRESSO GRATUITO

www.palazzorealemilano.it

Orari:

Lunedì chiuso

martedì, mercoledì, venerdì, sabato e domenica:

10.00 – 19.30; giovedì: 10.00 – 22

Ufficio stampa

Per Studio ESSECI simone@studioesseci.net

Ufficio Stampa Comune di Milano

elenamaria.conenna@comune.milano.it

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Berlino. Louise Bourgeois: The Woven Child al Gropius Bau.

Berlino. Louise Bourgeois: The Woven Child

“Venivo da una famiglia di riparatori. Il ragno è un riparatore. Se colpisci la ragnatela di un ragno, non si arrabbia. La tesse e la ripara”.

— Louise Bourgeois

Bourgeois, ( 1911-2010) nella sua ultima ricerca, ha forgiato un corpus di opere incentrati sull’ esplorazione dell’identità, della sessualità, relazioni familiari, riparazione e memoria. In quest’ ultimo corpus di opere, The Woven Child ha indagato “il potere magico dell’ago… riparare il danno” offrendo “una pretesa di perdono”.

A partire dalla metà degli anni ’90 e fino alla sua morte nel 2010, Bourgeois ha creato una gamma di sculture sorprendentemente fantasiosa e psicologicamente carica mediante materiali come tessuti domestici, inclusi vestiti, biancheria e frammenti di arazzi, spesso provenienti dalla sua stessa famiglia e dalla sua storia personale. Questo allontanamento dai materiali scultorei tradizionali ha rappresentato un ritorno alle radici dell’artista. Il legame di Bourgeois con il tessuto è iniziato nella sua infanzia, durante la quale ha aiutato la sua famiglia in Francia nell’atelier di restauro degli arazzi. La sua decisione di creare opere d’arte dai suoi vestiti e tessuti per la casa è stata quindi un mezzo per trasformare e preservare il passato evitando l trauma della separazione o dell’abbandono.

Per Louise Bourgeois, pertanto, il cucito, la tessitura e la riparazione sono fondamentali.

Ora, alla Gropius Bau, Stephanie Rosenthal, la Direttrice,

esamina le 89 opere di The Woven Child, gamma completa di opere d’arte in tessuto che Bourgeois ha prodotto durante i suoi ultimi due decenni. La mostra comprende importanti installazioni, in particolare molti dei “Poli” e delle monumentali “Celle” di Bourgeois, in cui configurazioni sospese di vecchi vestiti, sottovesti e altri indumenti fanno riferimento direttamente alla sua storia personale. L’imponente installazione Spider (1997) e il relativo pezzo Cell, Lady in Waiting (2003), incorporano frammenti di arazzi antichi.

Bourgeois considerava il ragno sia come protettore che come predatore e lo associava a sua madre, una tessitrice e restauratrice di arazzi. La sua capacità di tessere una rete dal proprio corpo era una metafora che Bourgeois ha utilizzato anche per descrivere il suo processo artistico ed è un’immagine particolarmente toccante all’interno di questa rassegna del suo lavoro sui tessuti.

ullstein bild Getty Images

La mostra, inoltre, presenta una selezione significativa delle teste di tessuto dell’artista, che rivelano l’ampia gamma di espressioni che ha elaborato in questi ritratti inquietanti e di grande impatto.

Julienne Lorz è la co-curatrice di The Woven Child, composta da sculture, vivaci disegni su tessuto, libri, stampe e collage di Bourgeois.

The Woven Child è curata da Ralph Rugoff, direttore della Hayward Gallery e Julienne Lorz, ex capo curatore del Gropius Bau. La mostra è organizzata dalla Hayward Gallery, Londra, in collaborazione con il Gropius Bau di Berlino. La mostra è accompagnata da un ricco catalogo con saggi di Ralph Rugoff, pubblicato da Hayward Gallery Publishing e Hatje Cantz, oltre a un programma pubblico di conferenze ed eventi.

Anna Maria Di Paolo

Gropius Bau. Louise Bourgeois: The Woven Child

Niederkirchnerstraße 7, 10963 Berlin, Germany

22 July – 23 October 2022

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UNA GRANDE STAGIONE PER I TRE MUSEI STATALI SUL GARDA. Desenzano, Villa Romana – Castello Scaligero di Sirmione, Grotte di Catullo

UNA GRANDE STAGIONE PER I TRE MUSEI STATALI SUL GARDA

Desenzano, Villa Romana – Castello Scaligero di Sirmione, Grotte di Catullo

Una grande stagione per i
tre Musei Statali sul Garda.

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Sirmione. Castello scaligero

Il lago di Garda, dopo la pandemia, ripropone, per la stagione turistica culturale nazionale e internazionale, un pregevole sistema museale statale con restauri del Castello Scaligero e delle Grotte di Catullo di Sirmione, oltre che della Villa Romana di Desenzano.

Sono tre complessi monumentali, molto visitati tanto che si collocano nel novero dei 30 dei musei italiani più visitati.

La Villa Romana di Desenzano, avrà una nuova copertura dei pavimenti in mosaico e la protezione inoltre coinvolgerà anche i percorsi e l’Antiquarium.

Pavimentazioni a mosaico della Villa Romana di Desenzano del Garda

La villa fruiva di un’eccellente situazione ambientale, ora area archeologica, I sec. D. C. e paesaggistica, ampia zona verde, essendo situata poco a Nord della via Gallica, che collegava Bergomum, Brixia e Verona, in una splendida posizione lungo la riva meridionale del lago di Garda.

Da Desenzano a Sirmione ecco il Castello Scaligero e le Grotte di Catullo dove il restauro coinvolgerà le murature esterne della darsena fino ai paramenti murari del fortilizio sul lago.

Grotte di Catullo

Un progetto artistico, multimediale e immersivo ricostruirà emotivamente le travaganze Imperiali, e così la mostra-evento nei mesi di giugno e luglio abbinerà a bellezza dell’antico e del contemporaneo in una cornice storica e paesaggistica unica la cui peculiarità è stata ampiamente compresa da anni dai tedeschi che qui hanno acquistato case e fatto man bassa delle ville, inaccessibili per prezzo agli stessi italiani.

In questa meravigliosa cornice, dunque, la Direzione della Regione Lombardia ha impiegato le sue energie economiche non solo per la salvaguardia, ma anche per la valorizzazione del grandioso complesso archeologico attraverso interventi di restauro, pulizia e consolidamento dei resti romani.

A tutto ciò si affianca il recupero dell’antico oliveto, ricco di esemplari plurisecolari, ulteriore patrimonio paesaggistico e naturalistico in un contesto perfetto oltre che di pratica produttività. Le olive di queste antiche piante danno infatti luogo ad una delle eccellenze dei luoghi col marchio “ olio del Garda” delicato e un po’ fruttato. Non è più certamente ricavato dagli antichi frantoi di epoca romana, ma con alta tecnologia che ne esalta tutte le caratteristiche conservando quell’ eccellenza attestata non solo da Virgilio, ma anche da Goethe, Carducci e D’Annunzio.

Oliveti a Lago

Del resto la sua alta qualità, al tempo destinata a pochi, era proibitiva ai più tanto che “cinque kg di olio gardesano valevano quanto un maiale molto grande”!!! Ora per fortuna non è più così; si è creata inoltre una sorta di “estetica” dell’ulivo, potato come un salice piangente e dal 1968, la rinominata “Riviera degli Ulivi” continua a far parte integrante di questo paesaggio archeologico e paesaggistico unico, che può reggere il confronto anche con la costiera amalfitana.

In sintesi, è bene conoscere questo prezioso patrimonio italiano tra cui il promontorio delle Grotte di Catullo, la Spiaggia conosciuta “Lido delle Grotte”, un angolo di paradiso che persino il Guardian ha inserito tra le dieci più belle spiagge del pianeta.

Anna Maria Di Paolo

Direzione regionale Musei Lombardia

drm-lom.comunicazione@beniculturali.it

Ufficio Stampa: Studio Esseci – Sergio Campagnolo

roberta@studioesseci.net, referente Roberta Barbaro

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Mantova. “L’arte di raccontare senza parole”di Stefania Aldi

Mantova. “L’arte di raccontare senza parole”di Stefania Aldi

Alla Galleria “Arianna Sartori” di Mantova va in scena la

pittura di paesaggio, oggi inusuale e al di fuori delle convenzioni compositive accademiche.

Stefania Aldi, in effetti, elabora una pittura di paesaggio con un’inventiva che attrae lo sguardo e affascina la mente. Pur essendo visto oggi il paesaggio un po’ controcorrente, dopo una tradizione secolare e numerosi capolavori, è stato da lei scelto comunque come soggetto della sua ricerca, e se ci si può sorprendere, a ben guardare, si deve convenire che Stefania Aldi sa dipingere e vuole comunicare, al di là del pregiudizio estetico sul genere, un fortissimo sentire della natura. Nei suoi quadri infatti mancano ponti, case e persone per cui la varietà delle scene naturali è data solo dalla luce che illumina tutta la costruzione sapiente della tela.

La singolarità dei suoi dipinti evoca delle atmosfere leggere, raffinate e al contempo composite, ottenute, cogliendo della realtà le sfumature percettive mediante riverberi. Il suo e’ un discostarsi dal linguaggio informale recuperando il dato figurativo come strumento del suo intuire intimo e anche di un garbato dissenso della cultura vigente. Ne ricava così pittoricamente una “forma di astrazione” raggiungendo in qualche quadro taluni toni iperrealisti sebbene i suoi paesaggi, nonostante i contrasti di luce e l’uso accorto dei colori, non diventino vere e proprie oasi oniriche.

Insomma i paesaggi sono si’ ispirati al mondo che la circonda e sono pertanto luoghi fisici, tuttavia essi rimangono luoghi anonimi che l’artista sceglie quasi fossero quelli privilegiati dell’ accoglienza.

Si potrebbero interpretare i suoi paesaggi come una semplice distensione della mente, e ci sta, ma a ben guardare sono un velato commento sul rapporto tra l’uomo e l’ecosistema nel dilagante disastro ambientale colpevolmente rincorso dall’ industrializzazione e urbanizzazione che ha progressivamente allontanato l’individuo dalla Natura pensando alla quale Stefania Aldi ha creato, in contrappunto, la sua “riserva“ naturale

Anna Maria Di Paolo

Stefania Aldi, classe1957, è nata a Mantova dove vive e lavora.

Diplomata con maturità artistica come maestro d’arte e delle arti applicate, ha collaborato con due studi di Mantova per il restauro di tele e cornici. Espone dal 1977.

Mantova. Galleria “Arianna Sartori” Via Cappello 17,

dal 21 maggio al 9 giugno 2022.

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